Sculture a Napoli in Le Arti

Poco meno di un anno fa il Palazzo Reale di Napoli ospitò una «Rassegna d’arte del Mezzogiorno» riservata alla pittura. La nuova rassegna, testé inaugurata, è dedicata alla scultura. L’iniziativa è stata presa dall’onorevole Francesco Napolitano e vi concorre con impegno il soprintendente Raffaello Causa. Come dice il titolo, vi espongogono
gli artisti meridionali rimasti in patria o emigrati verso altri centri. Napoli, insomma, vuole riprendere i suoi compiti anche verso la cultura contemporanea e se gli artisti locali hanno avuto ragione di lamentarsi per l’indifferenza o peggio nei loro riguardi, ora hanno trovato chi intende assumere impegni e responsabilità anche nei loro
confronti. Per dire in breve la misura di questo impegno, la commissione per gli inviti della presente mostra era presieduta da Cesare Brandi.
Certo non basteranno un paio di mostre per rompere un cerchio di apatia. Tra gli artisti sono avvenute defezioni, senza badare che gli assenti hanno sempre torco. Si aspettano polemiche. Però il clima culturale napoletano, immobilizzato da eccessivi conformismi di tradizione, ha bisogno di questi scossoni; e se qualcuno dirà che l’arte contemporanea è spaesata a Napoli, senza profonde radici, vorrà dire che c’è ancora chi resta legato a un vecchio cliché di una città ferma al suo folclorismo, a cerci suoi radicati motivi di vita provinciale e popolaresca, rifiutandosi di tener conto di una realtà che ha visto,
e vede, Napoli impegnata anche nei confronti di una cultura avanzata a livelli d’Europa. Dico vede, proprio per non far torco a quegli artisti, che uscendo verso il mondo, appaiono tra gli uomini di punta di una cultura sempre in evoluzione, e a quegli altri artisti che, rimasti nelle loro sedi, conducono un più difficile rinnovamento o quanto meno una colleganza con le idee e le esperienze vissute anche in altre città.
L’attuale rassegna di scultura allinea venticinque artisti, da Mastroianni che vive a Torino, a Cappello e Andrea Cascella che vivono a Milano, a Calò, Franchina, Consagra e Pietro Cascella che vivono a Roma, fino ai più giovani, rimasti in sito o andati fuori. La mostra offre quindi una larga indicazione di quanto gli artisti meridionali hanno raggiunto negli ultimi anni. Manca qualcuno, Mazzullo per esempio, o Carrino, e purtroppo Greco, che pure all’Accademia di Napoli ha insegnato per un quindicennio.
Fatto un primo giro della mostra, si può notare che gli avvenimenti più grossi e singolari dell’arte cli questi ultimi decenni vi sono rappresentati, spesso ai maggiori livelli, non escluse quelle tendenze al gioco e all’antiarte, che si possono reggere solo se l’artista
è di grande taglia, come Fontana per esempio. Gli artisti anziani, certo, vi compaiono con profili più precisi ed esperienze più definite, in conseguenza della loro più lunga carriera e di una selezione avvenuta con gli anoi. Presso di loro anche l’uso dei materiali eterogenei riesce a trovare un equilibrio con l’idea, e con l’immagine. I giovani, come è giusto, azzardano di più e questo azzardo li pone in situazioni più precarie; e se alla fine sarà sempre la maturità e la compiutezza qualificativa a decidere del valore delle opere, non si trascuri l’importanza di questo sforzo cli ricerca in direzioni inconsuete.
Inizia la mostra Mastroianni col suo aggressivo e suggestivo barocco barbarico, a cui fa seguito Franchina con le sculture in ferro anelanti a una vita fantastica. Aldo Calò presenta invece alcune «lastre squarciate», simbolo di una violenza che travolge, da cui trasse il motivo per il monumento alla Resistenza di Cuneo. Una figura geometrica sollevata a valori espressivi di un dinamismo
ideale è quella di Cappello; Consagra presenta tre suoi bronzi frontali, con rilievi e cavità di un preciso disegno allegorico, e i due Cascella hanno portato i loro famosi «incastri» o la volumetria sferica eseguiti in una linea di ricerca che fu già di Brancusi. E’ presente anche Giovanni Tizzano, un nome assai in vista tra le due guerre, ma ora invischiato in un tradizionalismo che non si può più rinsanguare. L’ala giovane è decisamente sperimentale e figura da sola in quanto altri scultori di ceppo figurativo si sono
astenuti con un gesto non proprio lodevole. Del Pezzo è presente con i suoi «oggetti» tendenti a una lucida evocazione in rilievo dei simboli metafisici dechirichiani; Marotta, in una stanza buia, ha allestito un «paesaggio artificiale», un prato di verro che si illumina
di vari colori; De Ruggero, con una sequenza di grandi scudi sospesi, ha tentato un «environment» bianco su bianco; Santoro ha appeso ai pannelli bianchi le sue grate di ferro; Guida, con uno sguardo rivolto a Pevsner, espone le sue variazioni geometriche sul quadrato e la circonferenza; Borrelli con pazienti saldature di lastre, lamelle e tondini (ricordo dello Jugosla vo Dzamonja) rende un omaggio fantastico a macchine e motori; Barisani dispone in uno spazio che purtroppo non si presta molto (le logge barocche di Palazzo Reale) alcuni elementi fortemente geometrizzati e fatti di plastica colorata, interpretazione sua delle «strutture primarie», ultimo lancio di Nuova York. Questo problema dello spazio non confacente non aiuta e anzi spaesa i «percorsi ritmici» di Alfano, e se gli oggetti al neon di Diodato mostrano più cruda la loro incongruità, «l’ambienre spaziale» di Pezzato, con le colonne gonfiate d’aria, resta un’esercitazione fine a se stessa.
Sullo scalone di palazzo Gianni Pisani ha innalzato il «Monumento a se stesso», ironica, e in un certo senso anche drammatica, moltiplicazione in 36 esemplari di una sua testa in plastica chiusi in bacheche trasparenti , quasi una precoce imbalsamazione. Pascalt, con effetti prevalenri di scenotenica, allinea sul pavimenro un delfino bianco e nero di legno e tela fatto a pezzi, e infine Pirozzi espone lo sfasciarne dorato dei frammenti decorativi liberty, che l’occhio ancora percepisce in molte strade di Napoli.
Mi sarebbe piaciuto parlare anche di Perez, uno dei maggiori artisti della giovane scultura italiana. I suoi «Narcisi», le teste fasciate, costituiscono un fatto di autentica poesia figurativa. Ma due ore prima dell’inaugurazione le sue sculture ‘non erano ancora pervenute’. Forse un’altra defezione? Né erano giunte quelle di Cannilla. Il «tempio» di Ceroli, una costruzione in legno che per la sua grandezza doveva alzarsi nel cortile, giaceva ammucchiata in disparte.
Marco Valsecchi

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