Per festeggiare gli ottantanni di Antonio Borrelli scultore, orafo e disegnatore, è stata allestita una mostra nelle “Prigioni” del Castello Dell’Ovo. Tra i visitatori anche un folto pubblico di allievi e maestri dell’Accademia di Belle Arti. Le molte opere illustrano il percorso della produzione di Borrelli, che partito per la Cina non ancora ventenne, subito dopo la guerra, ha cominciato la sua avventura con entusiasmo come disegnatore e decoratore di guanti presso una piccola fabbrica installata ad Hong Kong da un ebreo australiano. La sua formazione è proseguita a Napoli, all’istituto d’Arte Palizzi prima come allievo, poi come maestro orafo e scultore; ha poi insegnato all’Accademia di Belle Arti riuscendo ad ottenere un forte seguito anche nel suo studio nella piccola chiesa sconsacrata alla Solitaria. Con la perizia conseguita, la disciplina che ha saputo tramandare anche ai suoi alunni ed il fantasioso estro le opere di Borrelli si sono diffuse ovunque, dal gioiello prezioso alle piccole sculture e alle decorazioni, fino alla grande scultura installata in Chiese, Istituzioni e Musei conservando le stesse caratteristiche: progettazione sicura, costruzione precisa delle strutture, studio attento dei materiali e delle tecniche idonee.
Nel Catalogo, edito per i tipi di Paparo, i saggi di Paolo Mamone Capria, di Umberto Giacometti già suo allievo, grato testimone della validità etica e didattica del Maestro, e di Mario Franco curatore della Mostra, (il critico è anche autore di una esaustiva Video-intervista del 2009), testimoniano di un insegnamento morale rigoroso e di un percorso estetico mai scisso dal principio di utilità dell’opera, della “cosa” come egli preferisce chiamarla. Numerose le recensioi riportate di critici di rilievo quali Vitaliano Corbi, Giorgio di Genova, Salvatore Di Bartolomeo, Gino Grassi, Filiberto Menna, Achille Bonito Oliva, Paolo Ricci, Ciro Ruju, Michele Sovente.
Esposte vi sono opere che appartengono alla sua collezione ed a collezioni private, alcune sono già state in mostra nelle numerose Personali e Collettive cui il maestro ha partecipato.
Le primissime, quelle degli anni Cinquanta, che conservano influssi della cultura cinese, sono una serie di tavolette in rame smaltato a fuoco, dai colori vivi, che raffigurano immagini sacre o figure mitiche, poetiche. Sempre presenti, come può notarsi, sono state litografie schizzi, ritratti, disegni preparatori per i bronzi o per le sculture in ferro esposti non solo come elementi strutturali di un percorso ma essi stessi opere d’arte.
Vi si trovano le opere slanciate, protese verso l’alto, aderenti al materismo informale (“Volo”, 1963) già ottenute negli anni sessanta in bronzo (la lunga tecnica che voleva un bozzetto in creta, poi in gesso, poi in cera prima della fusione) e poi ripetute in ferro cadmiato come il “Cavallino” del 1961, ripetuto nelle stessa anno in ferro saldato; vi si trovano opere che sono state in altre mostre, negli anni trascorsi, come “Ricerca superficiale” del 1970, simile ad un monocromo bianco di Manzoni e più tardi “Ipotesi spaziale” del 1980, in laminato metallico e “Ricostruzione” ancora del 1980. Talvolta usa un metallo dorato come in “Incontri” del 1982-84 si è visto a Palazzo Reale nell’antologica “Napoli Scultura” del 1988 assieme alle opere di altri valenti artisti napoletani, tra cui Barisani, Del Pezzo, Di Ruggiero, Ferrenti,… Perez, Persico, Pisani, Ruggiero, Scolavino, per citarne solo alcuni di cui scrissero Vitaliano Corbi ed altri critici nel Catalogo di allora.
Altre numerose opere appartengono alla stessa ricerca dello spazio sebbene realizzate con assemblaggi, prelievi new dada, di tubi, tondini, piastre e frammenti metallici corrosi, elaborate fin dagli anni Sessanta e che spesso egli ha chiamato “relitti spaziali”; a tal proposito scrive Vitaliano Corbi a commento della mostra a Palazzo Reale del 1988: “in piena consonanza con la diffusa tendenza a travalicare la poetica dell’informale verso un’onnivora incorporazione estetica degli oggetti e delle iconi della civiltà dei consumi, si inserisce l’opera di Antonio Borrelli, con un suo accento originale, forse non ancora riconosciuto quanto merita”. Parole che ben chiariscono, con l’escursus esaustivo delle opere in mostra, la poetica di Antonio Borrelli.